15 febbraio 2012

TERRE SENZA LEGGI

TERRE SENZA LEGGI

Metà delle "clementine" raccolte da sfruttati - tra tendopoli e minacce dei "caporali"

Sebbene sia un reato punibile con il carcere, il Caporalato in Calabria continua a governare il mercato del lavoro agricolo. A due anni dalla rivolta degli immigrati di Rosarno, la pratica di uno schiavismo neanche tanto camuffato sono ancora lì sotto gli occhi (distratti) di tutti. Dodici ore di lavoro per 25 euro, con il trasporto da pagare. La xenofobia dilaga, ma copre situazioni di altra natura

di RAFFAELLA COSENTINO

Metà delle "clementine" raccolte da sfruttati tra tendopoli e minacce dei "caporali"

CORIGLIANO CALABRO - Da agosto il caporalato è reato punibile con il carcere da cinque a otto anni, ma nella Piana di Sibari non se n'è accorto nessuno. A due anni dalla rivolta degli africani a Rosarno contro lo sfruttamento e la 'ndrangheta, in Calabria i braccianti per la raccolta di arance e clementine si reclutano ancora all'alba per la strada. Corigliano Calabro è un comune di 40mila abitanti sulla costa jonica cosentina, sciolto per infiltrazioni mafiose, come lo era Rosarno nel 2010 1. Ogni mattina, dalle 6 alle 8, nella frazione marina di Schiavonea, il mercato delle braccia riempie la strada principale e i vicoli dietro la parrocchia. Un sacchetto di plastica con il pranzo in mano, stivali ai piedi e qualche fuoco improvvisato con i cartoni per scaldarsi dal freddo dell'inverno. I capannelli di migranti romeni, ucraini, bulgari, polacchi, albanesi, tunisini, marocchini e algerini attendono l'arrivo di camion, furgoncini e macchine che li porteranno sui campi.

Venticinque euro al giorno, con minacce. Oppure un euro a cassetta, da cui si deve sottrarre il costo del trasporto dal paese ai campi, che va dai tre ai cinque euro a persona. Il reclutamento avviene attraverso i caporali che sono sia italiani che stranieri. Nessuna rivolta però. "Qui gli immigrati hanno imparato un vizio bruttissimo: di non vedere e di non parlare, come gli italiani", dice M. un tunisino che vive in un casolare abbandonato. Dai racconti emerge un inferno di minacce e soprusi in un clima di assoluta omertà. "Volevo andarmene perché stavo male, allora il padrone italiano mi ha detto: 'o finisci o ti sparo'", continua il bracciante. "Se chiediamo i soldi ci puntano la pistola alla tempia o ci dicono 'ti butto a mare' - dice V. un romeno che lavora a Corigliano da anni - Mi segnano 20 giornate di lavoro e il resto va alla moglie del padrone, che sta a casa mentre io raccolgo le arance".

Dodici ore a schiena curva. Per il lavoro nero c'è scappato il morto. Il 19 dicembre Aurel Galbau, romeno di 49 anni, è caduto da un albero sul quale stava raccogliendo le olive in un campo nel vicino comune di Rossano. Ai carabinieri è arrivata una segnalazione anonima. Quando i soccorsi sono giunti sul posto era troppo tardi. "Li sfruttano facendoli lavorare 12 ore al giorno per pochi euro quando glieli danno, spesso li fanno lavorare per due mesi, alla fine il datore di lavoro scompare e non hanno più nemmeno i soldi per rientrare nel loro paese", dice il parroco di Schiavonea, padre Lorenzo Fortugno che con la Caritas ha aperto dal 2009 una mensa serale per i braccianti. "Ci servono donazioni di alimenti, vestiti e coperte" è l'appello lanciato da Achille De Gaudio, volontario fisso.

Quelle "clementine" sulle nostre tavole. Tra Natale e la Befana, le tavole degli italiani si riempiono di clementine. Nella Piana di Sibari la raccolta raggiunge l'apice. Due milioni e mezzo di quintali l'anno, il 60% della produzione nazionale. Lo sfruttamento della manodopera è intensivo. "I lavoratori sono costretti a usare i pesticidi senza adeguate protezioni e a raccogliere agrumi su cui i prodotti chimici sono stati spruzzati poco prima, molti braccianti si nutrono di questi frutti, soffrono di dermatiti, rischiano tumori", denuncia Giuseppe Guido, segretario Confederale Cgil - Pollino-Sibaritide-Tirreno. L'Associazione Torre del Cupo 2 stima che ci siano almeno 12mila stranieri per la stagione delle clementine in tutti i 22 comuni della Sibaritide, di cui la metà sarebbero a Corigliano. "C'è un clima di intolleranza crescente. L'immigrato va bene la mattina quando viene schiavizzato, non va più bene quando ritorna a casa dai campi o dal cantiere, dalle sei di sera in poi", dice Angelo Sposato, segretario generale della Cgil del Pollino, Sibaritide e Tirreno. Ad esempio qualcuno ha imbrattato con una svastica, una croce celtica e la scritta "Fuori i mussulmani" le saracinesche di fianco alla moschea della comunità marocchina di Schiavonea.

"Il razzismo è una copertura". "In un comune commissariato per mafia, in questo vuoto politico e istituzionale, alcune forze parapolitiche captano la frustrazione dei cittadini e veicolano il malessere verso gli immigrati", dice Biagio Frasca, volontario dell'associazione "Un sogno per la strada". Angelo Broccolo, presidente regionale di Sel, sottolinea: "abbiamo un problema di xenofobia e razzismo per coprire situazioni di altra natura. Per l'amministrazione precedente il problema della sicurezza era l'immigrazione, ma dall'indagine giudiziaria emergono un'economia e una società fortemente permeate dalla mafia imprenditrice. Qui la 'ndrangheta investe in loco".

Il business degli affitti in nero. Molto redditizio è anche il business degli affitti in nero agli stranieri. Un bracciante stagionale paga 120 euro al mese per un posto letto in una casa sovraffollata. Un appartamento costa tra i 400 e i 1000 euro al mese. Una trentina di persone sono state costrette ad accamparsi sulla spiaggia, dove hanno costruito tende fatte di teli di plastica e materiali di recupero. Vivono nel terrore dello sgombero. "L'anno scorso sono venuti con una ruspa e ci hanno portato via tutto" racconta un giovane marocchino. Il parroco e le associazioni chiedono che il comune metta a disposizione dei posti letto.

Repubblica (05 gennaio 2012) © Riprodu

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